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“Space Shuttle in the Garden” presenta una selezione di opere di Petrit Halilaj (Kosovo, 1986) realizzate nel corso degli ultimi anni, oltre a opere riadattate e a nuove produzioni concepite appositamente per l’occasione. Partendo dal vissuto e dalla storia personale dell’artista e dai cambiamenti del suo paese d’origine, il progetto espositivo approfondisce temi universali come la memoria, la ricerca di identità, il concetto di casa come luogo di condivisione e spazio individuale, fino a toccare aspetti legati alla collettività e alla creazione e conservazione di un patrimonio culturale condiviso.
La mostra è soprattutto un viaggio nell’universo e nella mitologia dell’artista. A metà tra immaginazione e realtà, le opere di Petrit Halilaj raccontano un mondo familiare e surreale al tempo stesso: sculture, disegni, performance, video e installazioni indagano i cambiamenti della storia e il contesto che ci circonda, in un continuo rimando tra memoria e attualità, realtà e utopia, relativo e assoluto. Ogni opera, pur attingendo a eventi e storie del passato e del presente, è tutta proiettata nel futuro poichè accoglie aspettative e desideri dell’artista, anticipando visioni e sogni che nella realtà devono ancora avverarsi.
Posta all’esterno di Pirelli HangarBicocca, l’opera They are Lucky to be Bourgeois Hens II (2009) è l’ingresso ideale alla mostra: un razzo spaziale elegantemente dipinto al suo interno di blu Klein e abitato da galline – soggetto ricorrente nel lavoro dell’artista – invita alla scoperta di un mondo nuovo, tutto da inventare. L’installazione crea un microcosmo dove il pubblico partecipa osservando, ma senza mai potervi accedere: un contesto familiare e al tempo stesso la prospettiva capovolta di uno sguardo che proviene dallo spazio. La nuova casa di famiglia a Pristina, la cui struttura portante era stata ricostruita in scala reale in occasione della Biennale di Berlino nel 2010, assume una veste del tutto inedita in Pirelli HangarBicocca.
Nella sua immagine essenziale e spettrale, l’opera evoca un senso di perdita che però, come suggerisce anche il titolo The places I’m looking for, my dear, are utopian places, they are boring and I don’t know how to make them real (2010-2015), rifugge da ogni sentimentalismo o senso di nostalgia. Come un grande affresco di famiglia, l’opera narra di un luogo utopico e ideale in continua trasformazione: sospesa nello spazio dello “Shed” di Pirelli HangarBicocca, la casa si frammenta, rispecchiando i cambiamenti vissuti dai suoi abitanti. Tutte le stanze dell’abitazione considerate individuali, si staccano da quelle che assolvono a funzioni collettive e condivise, per navigare liberamente nello spazio e dialogare con gli elementi circostanti.
Si Okarina e Runikut (2014), infine, è una serie di sculture che si ispira a uno strumento musicale a fiato di epoca neolitica rinvenuto in Kosovo a Runik, cittadina in cui Halilaj ha trascorso parte dell’infanzia. Le opere, strumenti che richiedono la partecipazione del pubblico, possono essere suonate sia individualmente sia in gruppo. Nelle loro forme elegantemente sospese su supporti in ottone o lasciate cadere a terra in modo del tutto spontaneo, esse ricreano lo spazio di una foresta magica che custodisce memorie corali. Anche il suono ancestrale prodotto dalle sculture rimanda a un tempo atavico, ma l’opera vive soprattutto nel presente e nel momento pubblico in cui gli strumenti vengono suonati. In questo senso Si Okarina e Runikut diventa metafora dell’intera mostra: un viaggio attraverso esperienze private e personali che nella condivisione diventano veicolo per la conoscenza di sé e del mondo circostante.