8 COSE CHE DOVRESTI SAPERE SU JAMES LEE BYARS
James Lee Byars. Holy Ghost. Piazza San Marco, Venezia, 1975. Courtesy © Archivio Storico della Biennale di Venezia, ASAC. Foto: Lorenzo Capellini
Centrale nella pratica di James Lee Byars è la creazione di situazioni che coinvolgono un pubblico eterogeneo in azioni temporanee o interventi su larga scala in contesti urbani, istituzionali o sacri. Molti dei lavori sono stati concepiti dall’artista per essere attivati in maniera performativa da lui stesso.
Un esempio emblematico è la performance “The Holy Ghost” tenutasi in Piazza San Marco a Venezia nel 1975. Circa settecento persone sollevano sopra la propria testa un tessuto lungo 100 metri, che ricorda una figura umana stilizzata.
Per le sue performance, Byars realizza inoltre iconici “abiti collettivi” indossabili da più persone contemporaneamente. Ad esempio, nel 1967 orchestra una performance pubblica in cui cento persone camminano a New York indossando un’unica gigantesca sciarpa di seta rossa, in una processione lunga quasi 1,5 chilometri accompagnata dalla musica di Bach.
James Lee Byars, Nov 4, 1993, Ueno, Tokyo. Foto: Shigeo Anzai
Byars è da sempre affascinato dalla cultura giapponese, che ha influenzato la sua pratica. Egli associa infatti motivi e simboli dei costumi e della civiltà orientale alla sua profonda conoscenza dell’arte e della filosofia occidentale, offrendo una visione unica e personale della realtà e delle sue componenti fisiche e spirituali.
Dalla fine degli anni Cinquanta e per tutti gli anni Sessanta vive tra il Giappone e gli Stati Uniti.
Durante questi soggiorni entra in contatto con le maggiori figure della cultura dell’epoca, confrontandosi con numerose forme espressive tradizionali – dalla ceramica alla pittura su carta – grazie alle quali espande il proprio vocabolario artistico. Byars è inoltre affascinato dagli aspetti cerimoniali delle antiche religioni nipponiche, come il Buddismo Zen e lo Shintoismo, caratterizzati da rituali minimali carichi di significato e da un uso di oggetti votivi spesso fatti di carta piegata o pietre. Di grande influenza anche il teatro Nō, di cui apprezza le caratteristiche formali ed estetiche come la composizione scenica astratta basata sulla semplicità, la creazione di atmosfere vivide e sensuali, e l’utilizzo di maschere come elementi di comunicazione carichi di mistero.
James Lee Byars, piani per la mostra "The Palace of Perfect", Porto 1997. Fax da James Lee Byars a Vicente Todolí, inviati dal Three-M Hotel, Nara, Giappone, alla Fundação de Serralves, Porto.
Queste lettere testimoniano la ricerca della bellezza che Byars ha perseguito e che si riscontra nella materialità delle stesse, specialmente nella scelta della carta, del colore e dell’inchiostro, oltre che nella grafia decorativa quasi indecifrabile usata per trascrivere informazioni pratiche, epigrammi poetici e messaggi personali.
In questo caso, si tratta di alcune corrispodenze tra James Lee Byars e Vicente Todolí, che al tempo curava la mostra dell’artista al Museu Serralves di Porto nel 1997, inviate via fax dal Three-M Hotel a Nara in Giappone.
1) James Lee Byars indossando il suo fundoshi in 1/2 an Autobiography, “Days in Japan”, Shinobu Sagakami, 2017
2) James Lee Byars: fotografia senza titolo, 1987. Fotografia a colori; 9 7/8 x 8 in. University of California, Berkeley Art Museum e Pacific Film Archive. Lascito di James Elliott.
James Lee Byars è stato descritto in più occasioni come uno sciamano, un dandy o un mago nelle sue apparizioni. L’artista si travestiva secondo un codice estetico ricercato e del tutto personale: un abito (d’oro, bianco, nero, o rosa a seconda delle occasioni), un cappello, guanti e talvolta una benda sugli occhi. I suoi abiti erano caratterizzati dal legame visivo e simbolico con le opere. Durante la sua carriera, Byars ha collaborato con altri artisti e case di moda tra cui Balenciaga.
James Lee Byars, The Thinking Field, 1989. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano, The Estate of James Lee Byars e Michael Werner Gallery, New York, Londra e Berlino. Foto Lorenzo Palmieri.
Byars ha dato vita a una riflessione mistico-estetica sulla rappresentazione e smaterializzazione della figura umana.
Ha intitolato una delle sue opere “The Human Figure” (1992). Composta da cento sfere di marmo bianco, è allestita orizzontalmente lungo il pavimento delle Navate di Pirelli HangarBicocca con configurazione ovale e allungata. Questo lavoro testimonia le continue esplorazioni di Byars sulla forma umana e la sua riduzione alla massima essenzialità. Qui la materia è preponderante, con una qualità tattile tipica del linguaggio scultoreo.
Prendendo spunto dall’ “Uomo vitruviano” di Leonardo da Vinci del 1490 circa, Byars riduce la figura umana a un insieme di punti. Come lo stesso artista ha affermato: «Ho scoperto che la figura umana è formata da cinque punti. Possono essere per esempio gocce d’acqua. Se usi una goccia come testa e da lì tracci un pentagono o una stella, di fatto hai creato un essere umano.» In particolare, l’installazione “The Diamond Floor” è composta da cinque cristalli disposti a disegnare un pentagono su un pavimento nero.
James Lee Byars, Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milan, 2023. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano, The Estate of James Lee Byars e Michael Werner Gallery, New York, Londra e Berlino. Foto Agostino Osio.
Lo studio dei pensatori presocratici (ritenuti i pionieri della fisica moderna), della magia e dell’alchimia hanno un forte impatto sul percorso di James Lee Byars, portandolo a sviluppare un pensiero teso alla ricerca della perfezione.
Questa incessante indagine si manifesta nella sua pratica riproponendo sempre gli stessi colori (rosso, nero, oro, bianco); forme (sfera, cerchio, cubo, rettangolo, colonna); materiali durevoli preziosi (marmo, lapis, bronzo, oro, pietra arenaria); numeri (7, 1, 3, 100, 1.000); lessico (libro, angelo, perfetto, domanda, morte). Egli rivela la sottile differenza tra ripetizione e insistenza.
I colori si stratificano di simboli come hanno notato gli storici dell'arte Peter J. Schneemann e Nicola Müllerschön, "Byars ha ridotto l'iconografia dei suoi materiali a una trinità: il rosso per il colore della vita e del sangue, il nero con le sue allusioni alla morte e infine l'oro, che significa immortalità e desiderio".
James Lee Byars al CERN, Ginevra, Agosto 1972. Negativo fotografico, 338-8-72. Immagine scannerizzata dal negative della foto originale il 25 Settembre 2014. © 2014-2016 CERN.
L’artista adotta la “domanda” e il dubbio come strumento di conoscenza all’interno della sua pratica, ritenendo che il punto interrogativo possa infondere una nuova vita a qualsiasi dichiarazione, spostandola dall’ambito dell’affermazione del reale a quello dell’arte e della poesia.
Una sera, nel novembre 1969, la performance “The World Question Center” fu trasmessa in diretta dalla televisione belga. Byars, in abito rosa, con 50 studenti dell'Università di Bruxelles che fungevano da "operatori", telefonò a persone in Europa e negli Stati Uniti, tra cui John Cage, che erano state preavvisate dell'evento senza comunicare che sarebbero state richieste loro domande, piuttosto che risposte. La prevalenza della nozione di risposta era così schiacciante che la richiesta di domande provocò confusione e ansia. Sono seguiti novanta minuti di pause confuse, mentre l'impenetrabilità della domanda pura si imponeva, e l'evento stesso è diventato un punto interrogativo finale.
Nello stesso periodo, intraprende numerose collaborazioni con istituti scientifici, proseguendo la sua ricerca attraverso interrogativi basati sul dubbio filosofico, secondo cui la domanda è più importante della risposta. Nel 1972 è invitato come primo artista in residenza al CERN (Centro europeo di ricerca nucleare) di Ginevra.
James Lee Byars, Red Angel of Marseille (detail), 1993. Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2023 FNAC 99316, Centre national des arts plastiques. In deposito presso Centre Pompidou, Parigi. Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano, The Estate of James Lee Byars e Michael Werner Gallery, New York, Londra e Berlino. Foto Lorenzo Palmieri.
Nel corso della sua vita, James Lee Byars ha sviluppato uno stretto legame con la città di Venezia, dove aveva vissuto e lavorato dal 1982 per alcuni periodi della sua vita.
Nella sua permanenza veneziana, Byars studia il vetro, materiale fragile e traslucido, considerato dall’artista come un mezzo ideale per esprimere la trascendenza della bellezza. In particolare, sperimenta le qualità di questo materiale collaborando con gli artigiani di Murano. Con il loro contributo, realizza nel 1989 “The Angel” composto da più di cento sfere trasparenti disposte a terra a ricreare la figura dell’angelo. Successivamente ne realizza una versione più complessa dell’opera, “The Red Angel of Marseille”, in mostra presso Pirelli HangarBicocca.